| Una vita bio
Seminare biodiversità
Si moltiplicano gli interventi di orticoltura urbana: pezzi di verde strappati al cemento e curati quotidianamente tra le case, vasche coltivate sui balconi e sui tetti, orti condivisi nei quartieri e nei parchi agricoli adiacenti alle metropoli. Sapere da dove vengono i semi che fanno crescere ciò che mangiamo, imparare a coltivare ortaggi e frutti, scambiarsi i semi tra comunità sono attività sempre più praticate, anche dai giovani. Le reti partecipate, i gruppi di cittadini che s’incontrano negli orti nelle pause dal lavoro sono segnali che gli italiani riscoprono la terra, in campagna e in città. Vogliono sapere, imparare. Terre Rurali d’Europa e Rete Rurale seguono il recupero delle varietà di frumento autoctone e incrociate con quelle giunte nel Paese. Il gruppo facebook di #unortoamilano e il sito permacoltura.it, solo per citare due realtà attive, contano su migliaia di appassionati. «Prima del 2000, scambiarsi semi prodotti dalla propria terra poteva essere punito con ammende salate. Le uniche varietà di semi ammessi erano quelle stabili, riconosciute dalle autorità ministeriali», spiegano. Nel 2010, in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, il governo italiano aderiva al Piano strategico per la biodiversità 2011-2020 e agli Aichi targets, poi confermati dalla Dichiarazione di Gangwon (Corea, 2014). Gli indicatori dell’Annuario Dati ambientali di ISPRA consentono di delinearne le caratteristiche (isprambiente.gov.it). «Da allora siamo passati da 5 o 6 varietà di frumento conosciute a 110. Tanti panifici, in Puglia e Toscana, Sicilia, li stanno adottando. Ma è solo l'inizio. Chissà se le “food policy” si accorgeranno che stiamo preservando biodiversità contribuendo al sequestro del carbonio, per offrire un’altra risposta possibile ai cambiamenti climatici».
Giuliana Zoppis